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giovedì 17 gennaio 2013

Investire in Italia?


Quando è stato mostrato a Bersani il video: l’Italia se ne va a pezzi, accennando al fatto che molti capitali italiani investiti nelle imprese vengono sostituiti da capitale straniero e ci sono molti di questi investitori sul nostro territorio, ho avuto l’impressione che ci fosse un imbarazzo di Bersani quando affermava che se non ci sono soldi in Italia per investire, vanno bene anche gli investimenti stranieri, purché vengano rispettate le regole.
Quest’ imbarazzo per me non è giustificato, anzi dovremmo rendere più facile l’insediamento di imprese straniere sia con una più efficace legge anti corruzione , sia con una semplificazione vera della burocrazia che faciliterebbe sia investimenti di capitali stranieri in Italia , sia l’apertura di nuove piccole attività da parte di risparmiatori italiani.
Un esempio sotto gli occhi di tutti è l’operazione Alitalia compiuta quattro anni fa da Berlusconi che con il pallino di conservare capitale italiano per la compagnia di bandiera ci ha fatto spendere tre miliardi come contribuenti, ci ha fatto rinunciare all'offerta francese che avrebbe portato ossigeno alla nostra economia e ci ha  portato dopo quattro anni alla medesima situazione di prima, aggravata dal fatto che quei tre miliardi oggi ci servirebbero, magari per evitare l’aumento dell’IVA di un punto.
Quindi vedrei molto bene che il futuro governo facilitasse l’insediamento di imprese straniere di qualunque provenienza, migliorando i servizi e abbreviando le procedure nonché sveltendo i percorsi giudiziari per le eventuali controversie civili e commerciali.
Uscire dalla crisi per l’Italia è possibile aumentando l’occupazione, aumentando la produzione e le esportazioni, evitando comunque sgravi e facilitazioni fiscali per le nuove imprese che alimenterebbero solo la speculazione di società che smantellano tutto alla fine dei benefici (questa esperienza l’abbiamo già fatta). Se l’Italia diventa un paese semplice e affidabile questo è già un buon incentivo ad attirare capitale straniero.
E poi aumentare le tasse su una economia ridotta a pelle e ossa significa continuare a diminuire il gettito fiscale, mentre un pil in aumento consente un maggior gettito fiscale pur diminuendo le tasse e migliorando i servizi.
Non mi lascerei affascinare da ipotetici e impossibili miracoli italiani, ma dalla possibilità di riagganciare la nostra economia a una crescita che ci consenta di  partecipare alla costruzione di una Europa politicamente unita e democratica.
Chi seguirà un programma di crescita nei fatti e non a parole? 


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